In questo blog hanno trovato spazio vari articoli che sono serviti a ricostruire i tentativi di definire l’arte fatti da alcuni autori di orientamento analitico. Questi tentativi hanno occupato i filosofi di estetica analitica per lunghi anni; nell’ultimo periodo la situazione è decisamente cambiata.
Alcuni contributi analitici recenti a proposito della definizione di arte mostrano un certo scetticismo sia sulla possibilità che sull’utilità di una definizione di arte. Carroll, ad esempio, nel presentare la sua proposta, nota come teoria storico-narrativa, si rifiuta di parlare di una nuova definizione di arte ed anzi, sottolinea come l’intero dibattito stia vivendo una “crisi” iniziata già negli anni Novanta. In particolare egli è convinto che l’utilizzo del concetto di arte da parte nostra avvenga senza far riferimento ad una definizione, ciò non toglie che nel momento in cui si debba decidere dell’artisticità di un’opera, sia possibile dare una spiegazione del perché varrebbe la pena di considerare arte l’opera in questione. Anzi, è proprio questa possibilità di «raccontare una storia» nel momento del dubbio il punto centrale della sua teoria.
La nuova opera, l’opera di rottura, produce uno iato, apre un vuoto: la narrazione storica lo colma, lanciando un ponte tra presente e passato.[…] L’arte è una pratica sociale in continua evoluzione, e l’approccio narrativo cerca di dar conto dell’aspetto evolutivo dell’arte trattandola come una conversazione. […] Lo studioso di estetica o il critico ricostruisce questo dialogo trasformandolo in una narrazione storica. Se la narrazione è convincente, vuol dire che ci sono buoni motivi per considerare il nuovo oggetto in un’opera d’arte.
[P. D’Angelo, a cura di, Introduzione all’estetica analitica, Editori Laterza, Roma-Bari 2008, p. 30]
In molti altri autori, anche se con approcci vari, si ritrova un certo scetticismo nei confronti dei tentativi di definizione dell’arte. In particolare sembra decisamente in crisi l’idea che sia possibile definire l’arte nei termini di condizioni necessarie e sufficienti. A tale proposito Eldridge [2003] e Dutton [2006] invece che di condizioni necessarie e sufficienti parlano di criteri in senso wittgensteiniano [su questo cfr. ad es. S. Velotti, Definire l’arte?, in Velotti, Stefano, La filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare, Editori Laterza, Roma-Bari 2011]. Un buon esempio di questo atteggiamento può essere questa frase di Zangwill:
Quel che vogliamo è acquistare conoscenze su di una gamma di oggetti, non sulle parole o i concetti che usiamo per parlare di questi oggetti. Ci interessano gli oggetti, non i concetti. […] Davvero, l’impresa di definire l’arte, tanto popolare per tanto tempo, è chiaramente un errore categoriale, a meno che “definizione” non sia inteso nel senso di “definizione reale” […]. Quel che vogliamo è comprendere la natura di alcune cose, non continuare a contemplare il nostro ombelico concettuale.
[Zangwill, Nick, Are there Counterexamples to Aesthetics Theory of Art?, in JAAC, 60,2, trad. it. in P. D’Angelo, a cura di, Introduzione all’estetica analitica, cit., p. 36].