Perchè l’estetica analitica ha provato a definire l’arte?

Nell’articolo precedente trattavo della crisi del dibattito analitico sulla definizione di arte.

Lo scetticismo mostrato da alcuni autori dopo anni di tentativi andati a vuoto è sicuramente ben comprensibile, meno evidenti sono invece i motivi che hanno spinto per anni i filosofi analitici alla ricerca di una definizione di arte. In questo articolo, ed in altri successivi, proviamo a rendere conto di alcune delle motivazioni alla base di questa lunga disputa.

Se nei numerosi tentativi di definire l’arte ci sono sicuramente molte cose, credo, che sono venute fuori, e che possono essere riprese e rielaborate in quanto indicazioni importanti per una riflessione sull’arte, sembra altrettanto indubbio che il dibattito abbia avuto momenti di sterilità e di inutile difficoltà concettuale risolvendosi talvolta in una disputa puramente accademica.

La questione della definizione dell’arte rischia di essere per questi motivi una di quelle tematiche che allargano lo iato tra analitici e continentali. Provare un po’ a capire cosa spinge questi filosofi alla ricerca affannosa di una definizione vuole essere un tentativo di gettare un ponte, o quantomeno di capire meglio la distanza, tra le due sponde dell’oceano.
Insomma, perchè l’estetica analitica ha provato con tanta insistenza a definire l’arte?

Un buon punto di partenza può essere l’apertura del saggio di Goodman «Quando è arte?»:

Se i tentativi di rispondere alla domanda «Che cos’è arte?» mettono sistematicamente capo a un senso di frustrazione e di confusione, forse – come accede così spesso in filosofia – è sbagliata la domanda.
[Goodman, Nelson, When is Art?, in Ways of Worldmaking, Indianapolis-Cambridge, Hackett 1978; trad. it. di Alfonso Ottbre, in Kobau, Pietro; Matteucci, Giovanni; Velotti, Stefano, a cura di, Estetica e filosofia analitica, il Mulino, Bologna 2007, p. 74]

Tale citazione ci permette di capire che la definizione di arte è stata intesa, in molti casi, come la risposta ad una domanda, la domanda «che cos’è arte?». Goodman spera di uscire dal vortice delle definizioni cambiando la domanda.

Se la definizione di arte spiega effettivamente cosa sia l’arte, l’importanza che viene data alla questione della definizione non è per nulla ingiustificata e il tentativo sembra già riprendere, ai miei occhi quantomeno, quella importanza teorica che gli è stata per lunghi anni attribuita in ambiente analitico.

Il motivo per cui questa importanza non è immediatamente visibile è che non è affatto detto, credo, che dare una definizione corretta di arte “a qualsiasi costo” sia rispondere esaustivamente alla domanda «che cos’è arte?», per molti motivi. In primo luogo, bisogna sottolineare come sia possibile “definire” in molti modi diversi.

Si può definire in molti modi

Ricostruendo parte del dibattito analitico sulla definizione di arte, mi sono reso conto di come i tentativi di definizione abbiano effettivamente poggiato su diverse modalità definitorie, diversi modi di definire. Abbiamo visto ad esempio la differenza tra una definizione reale ed una nominale, e la differenza tra una definizione procedurale, una funzionale ed una classificatoria.

Non è detto che ogni tipo di definizione, anche se corretta, risponda in modo soddisfacente alla domanda «che cos’è arte?». Davies sottolinea bene questo punto:

Va tratto un insegnamento in relazione alla ricerca di una definizione di arte. Probabilmente, la maggior parte della gente va in cerca di una definizione arte con la speranza di trovare una ragione del suo valore e della sua importanza. L’interesse e il valore della filosofia dell’arte stanno nella possibilità di rispondere a questo tentativo. […]
In effetti, è possibile che l’atmosfera di generale insoddisfazione lamentata dagli estetologi in relazione alla teoria istituzionale della definizione di arte rifletta l’irragionevolezza delle loro attese circa l’importanza illuminante delle definizioni di arte, e non una mancanza di soddisfazione nella definizione offerta dagli istituzionalisti
[Davies, Stephen, Definition of Art, Cornell University Press, Ithaca 1991, pp. 27-38, 46-47; trad. it. di Simona Chiodo, Definizioni funzionali e procedurali, in S. Chiodo, a cura di, Che cosa è arte, UTET, Torino 2007, p. 107-108]

Al di là della provocazione nei confronti degli “estetologi” e di tutti coloro che credano che il tentativo di definire l’arte sarebbe meglio si orientasse a cogliere il senso “profondo” delle parole, quello che sembra dirci Davies, letto in controluce, è proprio che non ogni definizione risponde ad ogni senso della domanda «che cos’è arte?». Detto in altri termini, una corretta definizione di arte potrebbe comunque non cogliere la profondità del «che cos’è?» filosofico.

Una definizione corretta di arte potrebbe essere, ad esempio, una definizione nominale. Se la definizione è di questo tipo, non risponde alla domanda che «cos’è arte?» in senso reale. La definizione potrebbe anche essere tutto sommato corretta, ma comunque non soddisfacente.

Si è sottolineato spesso anche la differenza tra una definizione circolare ed una non circolare. Quella di Dickie, ad esempio, è circolare. Egli tuttavia pur accorgendosi della circolarità della sua definizione continuerà a sostenerne la correttezza distinguendo, come detto, tra una circolarità informativa ed una circolarità vuota. Ammettendo che la pretesa correttezza della sua definizione sia legittima, quanti passi in avanti facciamo realmente grazie ad essa nella comprensione di che cos’è l’arte?

Linguaggio e ontologia

Un altro elemento importante a riguardo, sottolineato da Simona Chiodo nella sua ricognizione storica sull’estetica analitica [contenuta nell’Introduzione a Chiodo, Simona, a cura di, Che cosa è arte, UTET, Torino 2007], è il fatto che tendenzialmente la filosofia analitica tenda a separare il piano del linguaggio da quello ontologico. Tale separazione che mira ad una autonomia del piano linguistico, sciolto da ogni riferimento ontologico, continua Chiodo, diviene con Wittgenstein una coincidenza tra linguaggio ed ontologia.

Wittengstein, contrapponendosi a un approccio epistemologico basato su una distinzione tra realtà e linguaggio, nel Tractatus, non considera linguaggio e mondo come “separati”, seppur in rapporto, ma come coincidenti.

Le prospettive che abbracciano questa idea di Wittgenstein, come quella di Weitz, tenderanno quindi verso l’analisi del linguaggio. In questa prospettiva, «quando ci domandiamo perché un oggetto è un’opera d’arte, non stiamo interrogando l’essenza dell’opera d’arte (non stiamo chiedendo «che cosa è un’opera d’arte?»), ma stiamo interrogando la descrizione che diamo, da caso particolare a caso particolare, dell’opera d’arte (stiamo chiedendo «che cosa stiamo dicendo quando diciamo “opera d’arte”?»)» [S. Chiodo, Che cosa è arte, cit., p. XXIII].

Questa visione influenza tutta l’estetica analitica; stando a questa ricostruzione quindi, la definizione di arte non viene mai intesa come una domanda ontologica in senso forte.

Al di là della legittimità della pretesa che una definizione di arte, quale che sia, risponda alla domanda «che cos’è l’arte?», quello che scrive Goodman nel passo citato sembra corrispondere al vero, molti filosofi analitici hanno comunque voluto rispondere con una definizione a questa domanda, considerata centrale, anche a costo di proporre definizioni molto diverse tra loro sia nella metodologia che nella sostanza.

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