Il vedere-in di Wollheim

Walton affrontando il concetto di rappresentazione avrà ben presente, oltre l’esempio di Gombrich, la riflessione di Wollheim sul vedere-in.

Dedico allora alcune righe a questo concetto che ha avuto una grande diffusione diventando nel corso tempo una delle nozioni, non moltissime in realtà, ad essere note anche in ambito continentale.

Anche Wollheim, come Walton e Gombrich, cerca una nozione di rappresentazione che non si basi sulla somiglianza:

Talvolta, è vero, di fronte ad un disegno esclamiamo: «Sembra proprio A!». […] Se proviamo […] ad approfondire il senso del «questo» di cui in tali casi affermiamo la somiglianza, ci troveremo probabilmente più vicini a una proposizione del tipo: «Questa persona è identica ad A» piuttosto che a una proposizione del tipo «Questa configurazione è identica alla persona A». In altri termini, l’attribuzione della somiglianza si pone già sul terreno della rappresentazione e pertanto non può valere a spiegarla.
[Wollheim, Richard, Art and its Objects: an Introduction to Aesthetics, Harper and Row, New York, 1968, trad. it. di E De Lellis, Introduzione all’estetica, ISEDI, Milano, 1974, pp. 13-33, contenute in S. Chiodo, a cura di, Che cosa è arte, Lo statuto della rappresentazione, p. 31]

Immediatamente dopo questa considerazione Wollheim sottolinea come la somiglianza sia una proprietà simmetrica mentre questo non sembra valere per la rappresentazione; se un dipinto rappresenta Napoleone, non è vero l’inverso.

Il caso della figura bistabile, che può essere vista sia come anatra che come lepre, reso celebre da Wittgenstein, viene ripreso in ambito analitico per mettere a punto un modo di vedere che sia permeabile al pensiero. Il fatto che una medesima figura possa essere vista come una anatra o come una lepre spinge infatti pensare che il riferimento ad un oggetto a “fondazione” della rappresentazione non sia sempre necessario.

La figura bistabile lepre/coniglio analizzata da Wittgenstein e da Wollheim.

La figura bistabile lepre/coniglio analizzata da Wittgenstein e da Wollheim.

Sottolinea Simona Chiodo come questo passaggio permetta di intendere la rappresentazione non solo come qualcosa che può «presentare ancora» un oggetto (come nel caso di una sostituzione che «sta per» l’oggetto, ed in questo senso lo presenta di nuovo), ma anche come qualcosa che «presenta già» un oggetto:

La rappresentazione, ancora, sembra non avere la necessità di repraesentare un oggetto che ha un’esistenza anteriore al segno sulla carta. E’ essenziale l’azione di due ingredienti, che sono una «forma» e un oggetto. Ma non è necessario che la relazione tra la prima e il secondo sia la traduzione del vincolo tra una rappresentazione a registrazione di un oggetto e un oggetto a fondazione di una rappresentazione. Un segno sulla carta può repraesentare anche senza “presentare ancora”, perchè può essere la rappresentazione di un oggetto che, attraverso la visione del segno sulla carta, è costruito nel futuro e non nel passato […]. Di fronte a una rappresentazione possiamo vedere non la caratteristica di un oggetto, ma la relazione tra le caratteristiche di una «forma» e «oggetti» in memoria, a costruzione di un altro oggetto, che è il risultato di una visione che è anche «l’eco di un pensiero» capace di creazione.
[S. Chiodo, Mimesi, rappresentazione, finzione, cit., pp. 114-115]

Wollheim riprende il vedere-come ma elabora ulteriormente la nozione giungendo al vedere-in che sarà poi ripreso da Walton. Il vedere-in è una peculiare capacità percettiva indispensabile nella comprensione della rappresentazione. E’ grazie a questa capacità che possiamo vedere in delle nuvole delle figure o dei volti.

Da questa modalità di percezione dipende quella che Wollheim chiama la «duplicità» ossia, «un’unica esperienza simultanea dotata di due aspetti, uno «configurazionale» (la percezione della superficie dipinta), e l’altro «riconoscitivo» (la percezione di ciò che viene rappresentato)» [S. Velotti, La filosofia e le arti, cit., p. 41].

Leave a Reply