Walton e le rappresentazioni che non rappresentano

Avendo presenti i due riferimenti degli articoli precedenti, l’esempio del cavalluccio di Gombrich e il vedere-in di Wollheim, volgiamoci ora ad analizzare il ruolo della rappresentazione in Mimesi come far finta, di cui abbiamo già detto qualcosa in un altro articolo.

La critica a Gombrich e Wollheim

Walton sottolinea sin dall’Introduzione come non sia possibile pensare alla rappresentazione come una sostituzione dell’oggetto rappresentato:

Il suggerimento di Gombrich che una figura di uomo sarebbe un “sostituto” come un cavalluccio di legno è un “sostituto” di un cavallo fa pensare diverse cose sbagliate. Per giunta è fuorviante. Un cavalluccio di legno non sostituisce un cavallo nel modo in cui una vettura motorizzata sostituisce una vettura a cavalli. Si viaggia nella prima come si viaggia nella seconda, ma il bambino non viaggia realmente con il suo bastone.
[K. Walton, Mimesi come far finta, cit., nota 1, p. 23]

L’idea che il manico di scopa sostituisca un cavallo non è per Walton pienamente convincente. E’ vero che in un gioco un manico di scopa può avere la funzione di un cavallo, ma ciò non avviene per la capacità effettiva del manico di scopa di sostituire il cavallo, ma perchè si è all’interno di un gioco di bambini ed in particolare, in uno di quei giochi che Walton chiama giochi di “far finta”.

Quanto al vedere-come e al vedere-in Walton riconosce che queste due nozioni abbiano contribuito a metterlo sulla «giusta via» [Ivi, p. 351], in quanto esse non insistono sulla similarità tra figure e cose raffigurate ma tra modi di guardare figure e di guardare le cose:

Il processo di indagare il “mondo di una figura” mediante un’esame della figura è analogo in modi importanti al processo di indagare il mondo mediante la sua osservazione. Esami visivi di illustrazioni di uomini e di illustrazioni di montagne, per dirla in soldoni, sono come gli esami visivi sono come gli esami visivi di uomini reali e di montagne reali. Le somiglianze che qui troviamo non vanno al cuore della raffigurazione, ma le sono più vicine di quanto lo siano le somiglianze tra figure e cose
[Ibidem]

Per quanto il vedere-come e il vedere-in siano per Walton i benvenuti, essi non vanno al cuore della rappresentazione. Il vedere-in viene pensato da Wollheim come una speciale modalità percettiva, tuttavia egli non spiega cosa ci sia di speciale in questa attività.

Partecipare ad un gioco di far finta

Qual è questa speciale esperienza visiva? Cosa sta facendo una persona quando in un disegno vede un cane? Sta partecipando a un gioco visivo di far finta. Ciò che ha di speciale la sua esperienza è il fatto che è permeata dal pensiero, dall’immaginare, che il suo vedere è di un cane (nonché del rendersi conto che è di una figura). Il modo in cui il disegno e gli altri oggetti nell’ambiente arricchiscono esperienze di questo tipo è servendo da supporti (e sollecitatori) in giochi visivi nei quali è prescritto un tale immaginare.
[Ivi, p. 349]

Ad essere fondamentale è quindi la partecipazione ad un gioco immaginativo di far finta. E’ solo quando si partecipa ad un gioco che il manico di scopa ha la funzione di un cavallo.

Intendendo in questo modo il vedere-in Walton riesce a dare conto anche della «duplicità» che sottolinea Wollheim. Cogliendo le caratteristiche materiali di una tela che si riesce ad immaginare ciò che in essa è raffigurato. Tali esperienze sono inscindibili proprio perchè il percepire e l’immaginare sono strettamente legati all’interno di un gioco.

All’interno di un gioco di far finta intrapreso con Il mulino ad acqua con il grande tetto rosso di Hobbema si immagina che vedendo la tela si veda un mulino e «questo immaginare è parte integrale della propria esperienza visiva della tela» [Ivi, p. 350]. In tale gioco il Mulino di Hobbema è un supporto, in quanto prescrive delle immaginazioni.

Per questo Walton può dire che:

Il vedere e l’immaginare sono inseparabilmente uniti insieme in una singola totalità fenomenologica complessa. […] E’ questa esperienza complessa ad essere caratteristica della, e appropriata alla, percezione di figure, quell’esperienza che è talvolta condensata in formulazioni quali “vedere la figura come un mulino” o “vedere un mulino nella figura”
[Ivi, p. 349]

Spinti dal confronto tra il vedere-in e la partecipazione a giochi di far finta ci siamo in realtà spostati dal piano della rappresentazione in generale a quello della raffigurazione, ossia, secondo Walton, quella particolare rappresentazione che ha «la funzione di servire da supporto nella maniera indicata in giochi di far finta visivi» [Ivi, p. 344].

E’ chiaro però che una volta caratterizzata, come abbiamo visto in un articolo precedente, la rappresentazione come ciò che ha la funzione di servire da supporto in giochi di far finta, Walton si può servire di essa come una categoria trasversale capace di dar conto sia di quelle che egli chiama «rappresentazioni raffigurative» (intendendo con ciò arti visive e musica) che di quelle che chiama «rappresentazioni verbali».

L’inclusione della musica tra le rappresentazioni raffigurative dipende in primo luogo dal fatto che sia nella musica che nelle arti visive la percezione svolge un ruolo importante, in un caso la vista, nell’altro l’udito. Tuttavia spesse volte le opere musicali non hanno la funzione di servire da supporti in giochi di far finta auditivi (in alcuni rari casi sì, come quando si sentono i chiodi conficcarsi nella croce in un passaggio della Missa Solemnis di Beethoven). Walton però sottolinea come la musica possa essere considerata raffigurativa in un altro senso, infatti in moltissime occasioni «può essere fittizio non che qualcuno veda o che oda o in altro modo percepisca cose esterne ma provi o sia consapevole di (propri) sentimenti o emozioni o sensazioni o affetti o stati d’animo» [Ivi, p. 386].

Questa finzionalità molto intima e personale che caratterizza la musica dipende quasi sempre dai giochi dei fruitori in quanto la musica spesso non ha «mondi dell’opera». Per dirla in breve, si può partecipare anche a giochi di far finta in cui il ruolo della percezione, e della visione in particolare, è decisamente limitato, come ad esempio leggendo un libro.

In questo caso, come in tutti gli altri, si sta comunque, secondo Walton, partecipando ad un gioco di far finta. La condizione minima necessaria alla partecipazione ad un gioco di far finta è l’accettazione di alcune prescrizioni ad immaginare.

Se tutto può rappresentare…

Una volta intesa la rappresentazione in questo modo, il problema di Walton non è tanto quello di capire in che senso le molte diverse opere d’arte siano rappresentazioni; è casomai l’opposto, ossia che questa nozione di rappresentazione, senza opportune delimitazioni, arriverebbe ad includere potenzialmente ogni cosa. Ciò non è sorprendente, effettivamente guardando i giochi dei bambini ci si rende conto di come le cose più disparate possano essere utilizzate nei modi più diversi. Questa considerazione sembra effettivamente avere una strana analogia con il fatto che ogni cosa, in un determinato contesto, possa divenire un’opera d’arte.

Walton ovvierà a questa problematica della troppa inclusività della rappresentazione, come detto, sottolineando il fatto che alcune cose hanno la funzione di essere supporti, mentre altre possono essere supporti in determinate circostanze (dei supporti ad hoc) ma non ne hanno la funzione. Un troncone quindi può essere un supporto, ma questa non è la sua funzione, quindi esso non è una rappresentazione.

Il modo di intendere la funzione di essere supporto è comunque non rigido. Molte cose quindi potranno avere la funzione di essere supporti, ed essere perciò rappresentazioni. Sicuramente camion, bambole e giocattoli vari. In aggiunta Walton sottolinea che la “funzione” è data dal contesto sociale, e resta quindi indipendente dal fatto di essere creata appositamente per avere la funzione di essere un supporto.

Perciò all’interno di un gruppo sociale l’Orsa maggiore (come qualsiasi altra cosa) può avere la funzione di prescrivere immaginazioni. In tal caso essa è una rappresentazione. Ciò, secondo Walton, non lega necessariamente la rappresentazione al ruolo del fruitore, o dei fruitori, infatti, «qualcosa può avere la funzione di servire da supporto anche se di fatto non la svolge, anche se il relativo gioco non è mai effettivamente giocato. Dunque non c’è bisogno che le rappresentazioni siano effettivamente usate come supporti. Conteranno come rappresentazioni un dipinto che non sia mai stato visto e un romanzo che resti per sempre non letto.» [Ivi, p. 76].

Viene da chiedersi come faccia un dipinto mai visto e non realizzato per essere un supporto, ad avere la funzione di essere un supporto. Sembra quindi che una delle due condizioni debba comunque essere soddisfatta, ossia o qualcuno ha realizzato intenzionalmente qualcosa con la funzione di essere un supporto, oppure esso assume un tale ruolo all’interno di un contesto sociale.

Seguendo la direttrice interpretativa tracciata da Simona Chiodo possiamo notare come effettivamente nella rappresentazione, per come viene intesa da Walton, non sia necessario un riferimento ad alcun oggetto che fondi la rappresentazione.

Malevich, Dipinto Suprematista, 1915,  Stedelijk Museum,  Amsterdam.

Malevich, Dipinto Suprematista, 1915, Stedelijk Museum, Amsterdam.

Si potrebbe dire in termini provocatori che se “qualcosa” ha la funzione di essere un supporto, allora è una rappresentazione, indipendentemente da se essa “rappresenti” qualcosa, oppure no.

Questo mancato riferimento fondativo ad altro permette a Walton di superare agevolmente una lunga serie di problematiche.
Ad esempio egli avrà buon gioco a ricomprendere le opere astratte come opere d’arte rappresentazionali in quanto esse comunque hanno la funzione di prescrivere immaginazioni (e per lo stesso motivo anche la musica è rappresentazionale).

In un secondo momento Walton recupera il riferimento ad una realtà oggettuale esterna introducendo il concetto di figura. Un’opera come Dipinto Suprematista di Malevich è rappresentazionale ma non è figurativa, in quanto i «dipinti figurativi “rimandano oltre” loro stessi» [Ivi, p. 81], cosa che Dipinto Suprematista non fa. E’ figurativa ad esempio La Grande Jatte in quanto «induce e prescrive immaginazioni relative a cose esterne alla tela»[Ibidem].

La rappresentazione quindi rimane slegata dal riferimento ad altro, e viene interpretata nei termini di prescrizioni ad immaginare, mentre la “figura” ricuce questo rapporto.

Malevich, Suprematismo. Composizione non-oggettiva ,1915, Museo di Belle Arti di Ekaterinburg.

Malevich, Suprematismo. Composizione non-oggettiva, 1915, Museo di Belle Arti di Ekaterinburg.

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