Spettatori delle proprie opere

Le immaginazioni spontanee hanno una vita propria. Colui che immagina è più uno “spettatore” che il loro esecutore. Più che costruire il suo mondo immaginario, lo “sta a guardare” allorché gli si dispiega. Esso sembra meno il suo stesso artifizio che qualcosa di creato ed esistente indipendentemente da lui.
[K. Walton, Mimesi come far finta, cit., p. 34.]

Questa frase del filosofo americano Kendall Walton, tratta da ‘Mimesi come far finta’, è certamente un po’ paradossale. Walton sembra proporre una scissione interiore: da una parte una immaginazione libera e indipendente, dall’altra un “io” distaccato che osserva questo strano fenomeno. Non c’è chiaramente nessuna scissione all’interno di chi immagina, non c’è dualità. Non siamo spettatori di noi stessi, neanche delle nostre immaginazioni spontanee.

Se viene presa a rigor di termine l’idea non è plausibile. In parte tuttavia, coglie una sensazione comune: la sensazione che l’immaginare spontaneo sembra scaturire da sè, come appunto sottolinea il filosofo americano, indipendentemente dalla volontà di chi immagina.

L’immaginare spontaneo ha una dinamica diversa, molto diversa, rispetto a l’immaginare deliberato, per restare alle nozioni di Mimesi. Talmente differente che Walton non riesce – pur volendo – ad accorpare tutti i tipi di immaginazione in una sola definizione.

Forse più interessante della frase di Walton è notare come spesso non ci limitiamo ad ‘osservare’ questo scorrere spontaneo di immagini, ma ci rapportiamo ad esso e anche, capita, facciamo qualcosa con esso (tipicamente, lo raccontiamo). E certo è diverso l’immaginare spontaneo cosciente dal sognare. Distinzione che a Walton – che pure di distinzioni nell’immaginazione ne fa molte – sembra sfuggire.

disegno

Se pensiamo ad un artista che realizza “qualcosa”, la questio­ne sembra ripresentarsi più chiaramente. Il fare artistico non è solo immagi­nare, e quindi, una volta prodotta un’opera l’artista può rapportarsi ad essa, anzi, per molti versi non può farne a meno.

L’artista è il primo spettatore della propria opera. In questo, simile a chiunque produca qualcosa. Questo secondo rapporto dell’artista con la propria opera è fondamentale, è ad esempio frequente che un artista, non soddisfatto della propria creazione, decida di non mostrarla a nessun altro.

La fruizione della propria opera non avviene solo a posteriori, quando l’opera è conclusa, avviene anche durante la produzione.

L’esempio del pittore ‘da cavalletto’ è molto chiaro a riguardo. Egli osserva il suo soggetto, poi ‘tira fuori’ un’immagine, o parte di essa, poi la guarda, scruta nuovamente il suo soggetto, modifica l’immagine, si ferma di nuovo, ricomincia. Questo non avviene sempre, un pittore potrebbe dipingere, magari un quadro astratto, come si suol dire, ‘di getto’. Spesse volte però è proprio così che accade, e non solo nel caso della pittura.

Realizzando una scultura, e anche componendo un’opera musicale, frequentemente l’artista riguarda, riascolta, o comunque riconsidera la propria opera in fase di produzione. In termini molto generali, potremmo dire che in questi casi viene a crearsi una dinamica che coinvolge l’azione (dipingere, comporre), l’osservazione di cosa si è prodotto, ed una reazione al proprio operato che fa nascere una nuova azione.

Si può provare ad isolare questi due momenti spesso intimamente connessi, uno di realizzazione, di produzione, anche parziale, dell’opera, e l’altro di fruizione della stessa opera che si sta realizzando, o si sta contribuendo a realizzare.

Questi due momenti possono essere molto lontani tra loro nel tempo, un esempio potrebbe essere un racconto scritto di getto e lasciato in un cassetto per anni, poi però ripreso, rivisto e infine pubblicato. Potrebbero però essere anche molto vicini, come nel caso del pittore, che, mentre dipinge riguarda il suo quadro, e lo continua.

[Improvvisazione]

Azione e fruizione possono essere contemporanee, come nel caso delle immaginazioni spontanee descritto da Walton. Nell’improvvisazione questa contemporaneità è inevitabile.

Scriverò nei prossimi articoli di un’opera in cui Picasso improvvisa. Ma senza arrivare a Picasso, è una caratteristica credo più generale dell’improvvisazione quella di richiedere la contempora­neità di azione e fruizione.

In alcuni casi, quello che mi è più vicino è quello della musica, questa capacità di fruizione, di ascolto, deve essere rivolta non solo a se stessi, ma anche a ciò che gli altri stanno suonando.

Nell’improvvisazione libera il rapporto che viene a crearsi diventa molto particolare poiché l’ascolto dell’altro mentre si improvvisa, è l’ascolto di un altro che sta anch’esso improvvisando, e che interagisce allo stesso modo. La serie di ‘rimbalzi’ tra suonare, ascoltare e ascoltarsi viene moltipli­cata in diretta e, appunto, all’improvviso.

Questo ascolto di ciò che si sta suonando, e di cosa non si sta suonando, richiede immediatamente una reazione.

Una possibile reazione, quella di non suonare, non è solo possibile ma anche, a un certo punto, necessaria, se non si vuole prolungare all’infinito l’esecuzione. Proverò a mettere in luce questo problema di quando porre fine a questo gioco di azioni e reazioni, anche nel caso di Picasso che vedremo; è il problema di quando un quadro finisce, di quando è ora di separarsene, far finire l’opera.

[Produzione/fruizione]

Tenere, un po’ forzosamente, separato il momento della fruizione e quello della produzione di un’opera, può aiutare a rendersi conto di come nelle arti che tipicamente coinvolgono più persone (come il teatro, il cinema e la danza) il ruolo dell’osservatore, dello ‘spettatore della propria opera’, all’interno del processo di produzione può venire attri­buito in modo preponderante ad una o più figure professionali, come il regista o il coreografo.

Creare e al contempo fruire la propria opera è una attività non rara nel processo di produzione della stessa. Si potrebbero utilizzare le distinzioni tra i vari modi, le varie possibilità, di fruire un’opera per domandarsi: che tipo di fruitore è l’artista che fa da spettatore alla propria opera mentre la sta realiz­zando?

E’ questo un caso diverso rispetto a quelli che hanno considerato Walton e Danto, l’artista fruisce la propria opera in modo particolare e per­sonale, per cui diventa difficile ricondurre questa attività ad una sola tipologia.

Tuttavia in questo caso una fruizione intesa come «partecipazione» sembra spesso più vicina alla pratica artistica concreta rispetto alla fruizione intesa come interpretazione. Ciò non toglie che l’autore dell’opera, in un secondo momento, come nel caso in cui debba decidere se pubblicare o no un romanzo, possa essere anche interprete e critico della propria opera.

Il fatto che l’artista partecipi anche come fruitore alla creazione dell’opera è una delle possibilità che hanno gli artisti, in alcuni casi più utilizzata che in altri. Ma appunto, anche in questo caso si tratta di una possibilità non di qualcosa che egli debba necessariamente fare; molti autori nell’arte contem­poranea tendono a mettere in discussione il ruolo dell’artista, sicuramente anche da questo punto di vista. Basti pensare alle varie opere che vogliono coinvolgere il caso all’interno della produzione dell’opera.

Leave a Reply