Arte contemporanea: la ‘partecipazione’ degli spettatori

Gli artisti del GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel), in un documento diffuso in occasione della Terza Biennale di Parigi nel 1963, scrivevano:

Noi vogliamo coinvolgere lo spettatore, liberarlo dalle inibizioni, rilassarlo.
Noi vogliamo farlo partecipare.
Noi vogliamo porlo al centro d’una situazione che possa far funzionare e trasformare.
Noi vogliamo che egli sia consapevole della sua partecipazione.
Noi vogliamo che egli si orienti verso un’interazione con altri spettatori.
Noi vogliamo sviluppare nello spettatore una forte capacità di percezione e di azione.
Uno spettatore cosciente del suo potere d’azione […] potrà compiere da sè la vera «rivoluzione nell’arte».
Egli metterà in pratica le seguenti regole:

VIETATO NON PARTECIPARE
VIETATO NON TOCCARE1
VIETATO NON ROMPERE

[Documento integrale disponibile sul sito di Julio Le Parc, uno dei membri del gruppo, all’indirizzo www.julioleparc.org, e riportato in Riout, Denis, L’arte del ventesimo secolo, cit., pp. 344-345.]

La seconda regola declamata dal GRAV sembra richiamare il «Si prega di toccare» posto da Duchamp in accompagnamento alla copertina del catalogo della mostra «Le surréalisme en 1947», organizzata alla Galerie Maeght di Parigi. Copertina composta anche da un seno di gomma posto su un velluto nero.

Le opere che chiamano lo spettatore ad una partecipazione attiva in questi anni sono numerosissime.

Edward Kienholz, Roxy's, 1961.

Edward Kienholz, Roxy’s, 1961.

Installing Edward Kienholz's Beanery. Credits

Installing Edward Kienholz’s Beanery. Credits

Faccio alcuni esempi: gli environment di Kienholz richiedono allo spettatore di entrare nell’opera, come Roxy’s (1961) e The Beanery (1965); In cubo di Luciano Fabro è del 1966, mentre i primi penetrables di Jesus Rafael Soto sono del 1968.

Non sono sicuramente estranei a queste considerazioni sulla tendenza ad una maggiore partecipazione diretta degli spettatori anche gli happening, che Allan Kaprow inventa nel 1959:

Il significato dell’happening non deve essere rintracciato unicamente nella corrente creativa, piena di freschezza, che soffia attualmente. Gli happening non sono propriamente uno stile nuovo. Piuttosto, nel solco dell’arte americana della fine degli anni quaranta, sono un atto morale, un atteggiamento umano fondato su una grande immediatezza, il cui statuto professionale e artistico non è tanto un criterio quanto la certezza di rappresentare un impegno esistenziale definitivo.
[A. Kaprow, Les happening sur la scene new-yorkaise, citato in D. Riout, L’arte del ventesimo secolo, cit., p. 351.]

Luciano Fabro, In cubo, 1966.

Luciano Fabro, In cubo, 1966.

Questa tendenza a far partecipare gli spettatori è come una forte sveglia, un secchio d’acqua gelata che tanti protagonisti dell’arte contemporanea hanno provato a gettare sugli spettatori, provando a smuoverli da un ruolo passivo.

Credo che anche la celebre frase «ognuno è artista» di Joseph Beuys possa essere letta alla luce di questo movimento verso una partecipazione attiva dello spettatore; nel caso di Beuys in particolare era fortemente sentita la valenza sociale e politica del gesto artistico.

La sua celebre frase può in realtà essere molto pericolosa per l’arte perché esprime, letta in un certo modo, un pensiero tipico di fronte a moltissima arte che rompe la figura, e ancor di più rispetto all’arte che non richiede un’abilità manuale dell’artista. E’ il modo di intendere «ognuno è artista» come un appiattimento egualitario verso il basso per cui, per dirla semplicemente, il primo che si sveglia scarabocchiando linee casuali su una tela può proporsi come artista alla stessa stregua di molti degli artisti citati in precedenza. Beuys ha sottolineato più volte la valenza sociale del suo motto, ed il modo in cui intenderlo:

La formula «ognuno è artista», che ha suscitato molta irritazione e continua a essere fraintesa, si riferisce alla trasformazione del corpo sociale. Ognuno può, anzi, deve prendere parte a tale trasformazione se si vuole riuscire in questo grande compito. Se infatti manca anche una sola voce nella elaborazione di quest’opera plastica collettiva in cerca della propria espressione, ripeto, se manca anche una sola voce, se non partecipa, bisognerà attendere molto tempo per giungere alla trasformazione, alla nuova costruzione della società
[Beuys, Joseph, Discours sur mon pays, 1985, citato in D. Riout, L’arte del ventesimo secolo, cit., p. 360.]

Molti motivi spingono dunque artisti anche molto diversi a coinvolgere lo spettatore nell’opera d’arte. Non possiamo schiacciarli tutti in unica idea, spero però di aver indicato una tendenza. Le sperimentazioni a riguardo sono tra l’altro ancora oggi in corso.

Se questi casi sono particolarmente rilevanti per quel che riguarda la partecipazione attiva del fruitore, è anche in un altro senso che il ruolo dello spettatore è cambiato negli ultimi anni. Lo spettatore è spesso un interprete dell’opera d’arte. Anche questo aspetto – di cui scriverò nel prossimo articolo – è stato ben colto dall’estetica analitica che ancora una volta si mostra molto ricettiva nei confronti dei movimenti delle arti nel Novecento.

Leave a Reply