Cos’è l’immaginazione? La resa teorica di Walton

Dicevamo negli articoli precedenti che Walton distingue tra diversi modi di immaginare. Segna la differenza tra l’immaginare spontaneo e quello deliberato, tra l’immaginare sociale e quello solitario, tra le immaginazioni occorrenti, quelle non-occorrenti, quelle proposizionali e non proposizionali.

Fatte queste distinzioni l’idea di Walton sarebbe quella di trovare una proprietà comune a tutte queste attività, che possa caratterizzare l’immaginare in generale. Tuttavia egli non è in grado di trovarla e proseguirà la sua ricerca nonostante questa lacuna, basandosi su una «comprensione intuitiva di cosa significhi immaginare», che ciascuno di noi ha.

“Che cosa significa immaginare? Abbiamo esaminato diversi aspetti in relazione ai quali le immaginazioni possono variare; non dovremmo ora spiegare in dettaglio che cosa abbiano in comune?
Sì, se potessimo. Ma io non ne sono capace. Per fortuna, una comprensione intuitiva di che cosa significhi immaginare, in qualche modo affinata dalle osservazioni di questo capitolo, ci basta per proseguire con la nostra indagine”
[Walton, Kendall L., Mimesis as Make-Believe, Harward University Press 1990; trad. it. di Marco Nani, Mimesi come far finta, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2011., pp. 39-40]

Walton prende in considerazione l’idea, a suo dire promettente ma errata, che l’immaginare sia un modo di “concepire”, di prestare attenzione, di prendere in considerazione. L’idea non regge perché inteso in questo modo l’immaginare in modo non-occorrente proposizionale non avrebbe senso, bisognerebbe infatti che fosse «possibile avere nel fondo della nostra mente una proposizione senza che ad essa si creda (neppure implicitamente), giacchè si può immaginare ciò che non si crede» [Ivi, p. 40].

Devo dire che dopo aver seguito passo dopo passo il filosofo americano nella sua anche complessa elaborazione, questa “resa teorica” nei confronti dell’immaginazione è stata un po’ deludente. Anche onesta d’altronde.

Walton si appella ad una comprensione intuitiva dell’immaginare. L’immaginazione è in effetti qualcosa con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Penso tuttavia che Walton sottostimi l’importanza di una comprensione “profonda”, se così si può dire, dell’immaginazione anche per la sua stessa proposta teorica.

Quello che più interessa il filosofo è caratterizzare in modo preciso una particolare attività immaginativa, quella che egli chiama il “far finta”; questa attività consiste nell’«uso di supporti (esterni) nelle attività immaginative» [Ivi, p. 92]. Su tale attività egli scriverà a lungo in Mimesi come far finta, riferendosi spesso alla facoltà di immaginare pur non riuscendo mai a comprenderla fino in fondo.

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